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Efisio Marini: lo scienziato cagliaritano pietrificatore di cadaveri

Un genio incompreso, dal carattere taciturno e l’aria schiva, capace di rendere immortale il corpo umano e trasformare i cadaveri in opere d’arte. E’ Efisio Marini, scienziato cagliaritano passato alla storia come “il pietrificatore”.

Sembrerebbe quasi l’epiteto attribuito ad un pericoloso serial killer, eppure si tratta di una tra le più affascinanti ed enigmatiche personalità  a cui la città di Cagliari abbia mai dato i natali.

Efisio Marini nacque il 13 Aprile 1835 nel capoluogo sardo all’interno di una numerosa famiglia di commercianti. Si interessò giovanissimo alla paleontologia, conseguendo due lauree in Medicina e Scienze Naturali a Pisa, città  assai florida di spunti e personalità  attive in ambito scientifico. Nel 1861, all’età  di 26 anni, fece ritorno a Cagliari, desideroso di conquistare successo e notorietà  negli ambienti accademici cittadini. Ottenne quindi un incarico come assistente presso il Museo di Storia Naturale, confidando nella possibilità  di entrare in contatto con illustri personalità  che avrebbero potuto accorgersi delle sue capacità e del suo talento.

Ma in cosa consistevano le sue abilità  in campo scientifico?

Efisio Marini stava da tempo sperimentando una tecnica di sua invenzione che, prendendo avvio dalle tradizionali metodologie di mummificazione, permetteva di conservare inalterate nel tempo consistenza ed elasticità dei tessuti e dei liquidi organici. Si trattava, in sostanza, di un metodo alternativo attraverso il quale un particolare composto chimico di sua invenzione veniva iniettato nei cadaveri in maniera non invasiva, senza, cioè, praticare tagli o incisioni che ne avrebbero deturpato la bellezza. Fu soprattutto lo studio dei fossili ad ispirare la sua ricerca ossessiva verso la pietrificazione dei corpi. L’idea di trasformare un materiale organico in un materiale inorganico, impedendone la putrefazione e permettendone la conservazione nel tempo era un’impresa ardua, che richiedeva applicazione costante, dedizione e duro lavoro.

Tomba di Maria Ugo Ortu nel Cimitero di Bonaria. I bambini erano spesso oggetto di esperimenti di pietrificazione per richiesta dei genitori che volevano conservare un ricordo dei propri figli volati via precocemente.

Lontano dagli occhi dei visitatori del Cimitero di Bonaria, cominciò a condurre alcuni esperimenti su parti di cadaveri, che mandò ad esaminare a Torino e Londra, ottenendo da subito altissimi riconoscimenti. Ma il suo carattere taciturno, la sua propensione a lavorare in solitudine e forse la sua aria superba non tardarono a procurargli le antipatie dei suoi colleghi, e la sua fama negativa presso i cagliaritani non si fece attendere. Voleva lavorare in solitudine, sia per riuscire a concentrasi sia per evitare di essere imitato. Il suo atteggiamento scrupoloso e metodico fu interpretato però come superbia e malignità . Pochi capirono che questa formula segreta era talmente importante per lo scienziato cagliaritano al punto da non rivelarla mai a nessuno, nemmeno dietro pressioni e ricatti, custodendola gelosamente fino alla morte e lasciando ancora aperti numerosi interrogativi. Tra tutti il più importante: cosa lo spinse a dedicare tutta la sua vita al perfezionamento costante di una tecnica che rappresentava per lui un’ossessione costante?

Forse non lo sapremo mai, ma quel che è certo è che Efisio Marini fece molto parlare di sé, fino ad essere, ahimè, dimenticato. Dall’anno della sua morte, avvenuta a Napoli l’11 Settembre del 1900, bisognerà  attendere il 2001 e la fantasia di Giorgio Todde, oculista e scrittore cagliaritano, che lo trasformò nel detective-scienziato protagonista dei suoi romanzi.

Mano di fanciulla donata da Marini all’Università  di Sassari

Ma come mai una personalità tanto discussa e geniale è caduta nell’oblio?

Dobbiamo pensare all’epoca e al contesto nel quale visse Efisio Marini; un’epoca di cambiamenti e novità  forse troppo grandi per una città ancora troppo chiusa, come la Cagliari del XIX secolo; una città abituata a giudicare troppo frettolosamente, dominata dalla superstizione e dal provincialismo che riteneva questo singolare scienziato niente più che uno stregone. Perfino il quotidiano locale, l’Unione Sarda, aveva da tempo preso a pubblicare una serie di motti canzonatori nei confronti del Marini, rendendogli sempre più difficile concentrarsi sul suo lavoro.

Ma né la rigidità degli ambienti accademici né le derisioni dei suoi concittadini gli impedirono di interrompere le sue ricerche. Nel 1863 partì come medico sull’Aspromonte, dove conobbe Giuseppe Garibaldi ed ebbe modo di osservare e soccorrere da vicino le celebri ferite. Per dimostrare al generale la sua grande stima, Marini pietrificò il suo sangue, che poi gli donò in un medaglione e Garibaldi lo ringraziò con tanto di lettera ufficiale. Ma nonostante il riconoscimento da parte di illustri personalità  del tempo, a Cagliari Marini era sempre considerato un negromante.

L’occasione d’oro per dimostrare ai cagliaritani la sua grandezza arrivò nel 1866 con la morte di Pietro Martini. Quest’ultimo, al contrario, era amatissimo dai suoi concittadini e godeva della stima di molti personaggi del tempo, tra cui il Baudi di Vesme e Alberto La Marmora. Storico, archivista e direttore della Biblioteca Universitaria di Cagliari, di recente aveva contribuito alla divulgazione delle “Carte d’Arborea”, portando la Sardegna e l’epopea dei Giudicati alla ribalta internazionale. Ma la morte lo colse improvvisamente, ponendosi come un ostacolo alla sua incessante opera di divulgazione. Caso volle, inoltre, che lo storico non avesse lasciato alcuna foto di sé, se non un ritratto giovanile. E in un momento delicato come quello legato all’imminente successo delle “Carte d’Arborea” si sentiva il bisogno di attribuire un volto all’illustre personaggio. Nell’epoca in cui la fotografia, spesso, veniva eseguita “post mortem”, capitava frequentemente che i fotografi dovessero ricomporre uno scenario ideale che rappresentasse la vita. Era quindi l’occasione perfetta per restituire ai familiari un’immagine composta e veritiera dell’uomo, in modo che la sua memoria fosse eterna. Subito dopo i funerali nel Cimitero di Bonaria, Marini prese con sé il corpo e cominciò il suo lavoro. Una volta ultimato, il corpo del defunto storico cagliaritano fu risistemato nuovamente nella bara e tumulato. Alcuni mesi dopo (la morte avvenne nel Febbraio e la bara fu nuovamente aperta a Giugno), Marini si recò al cimitero per aprire la bara e controllare lo stato d’avanzamento della sua opera. Stando alle cronache del tempo, il corpo si mostrava al tatto modellabile come cera, consentendo allo scienziato di rimodellarne i lineamenti del viso per prepararlo ad essere fotografato dal fotografo e amico del Marini Agostino Lay Rodriguez.

Pietro Martini

Tutt’oggi questa è l’unica foto che si possiede di Pietro Martini, ma pochi sanno che è stata fatta quando lo studioso era già morto da quattro mesi. La foto mostra l’illustre cagliaritano ben abbigliato, adagiato su una poltrona con in mano le pergamene d’Arborea.

Ma l’impresa straordinaria non fu sufficiente per convincere gli ambienti accademici cagliaritani. Almeno non subito. Proprio per riprendere fiato dai continui attacchi, Marini si trasferì per breve tempo a Parigi, dove al contrario fu accolto con onori e clamore, soprattutto a seguito della partecipazione all’Esposizione Universale del 1867. In questa sede presentò i risultati delle sue ricerche e impressionò perfino Napoleone III, il quale lo mise in contatto con alcuni scienziati francesi. La grandezza del metodo di Marini stava nel fatto che la formula della pietrificazione poteva essere reversibile, quindi portare sia all’indurimento del tessuto sia alla sua flessibilità . E’ quanto lo scienziato dimostrò riportando allo stato flessibile il piede di una mummia egizia, meritando la Legion d’Onore. Come ringraziamento, il Marini gli donò un tavolino composto da parti di organi del corpo umano tra cui bile, cervello e sangue. Questi macabri omaggi erano caratterizzati da un gusto estetico che fu ritenuto notevole, come se si trattasse di vere opere d’arte.

Tavolino con parti anatomiche, dettaglio.

In breve tempo molte prestigiose università europee gli offrirono cattedre e riconoscimenti. Ma Marini continuava a rifiutare, sperando in un’offerta da parte dell’Università  di Cagliari, la sua città che aveva sempre dimostrato di non apprezzarlo. Qui però gli si impose un ricatto: rivelare la formula della pietrificazione e avere la tanta agognata cattedra.

Colto dall’ira e dalla disperazione, Marini gettò in mare i suoi lavori e si imbarcò alla volta di Napoli. L’alone di mistero che circondava la sua figura si inasprì all’idea di cosa potesse nascondersi dietro al suo rifiuto di svelare i segreti della propria arte. D’altra parte il senso di ogni scoperta scientifica stava nella forza della divulgazione. Ma Marini non volle mai correre il rischio svelare la sua conoscenza ed essere dimenticato.

Corpo di bambino calcificato.

Tentò a lungo di inseguire i suoi sogni di grandezza, provando perfino a cercare delle applicazioni pratiche della pietrificazione nel mondo del commercio e dell’industria, ma senza risultato. Le sue idee erano troppo moderne per poter trovare riscontro, e così diede corpo al suo peggiore incubo, quello di essere dimenticato dai suoi contemporanei. Morì solo e in disgrazia a Napoli, l’11 Settembre del 1900.

Senza nemmeno rendersene conto, Cagliari aveva rinunciato ad un uomo di grande valore scientifico, soggiogata dal timore e dall’irriverenza.

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Riferimenti bibliografici

  • Antonio Maccioni, Efisio Marini e la conquista dell’eternità
  • Pierluigi Serra, Cagliari Esoterica
  • Francesco Alziator, I morti di pietra dell’uomo caparbio

Per approfondimenti

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