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Quel viaggio in Sardegna di Gabriele D’Annunzio

C’erano già stati Valery (1834), con il suo sguardo romantico affacciato su un’isola dal passato mitologico e dalle tradizioni millenarie, e Delessert (1854) con la sua sensibilità di fotografo capace di andare oltre le cose. E c’era stato Balzac (1838), viaggiatore sfortunato che del suo soggiorno in Sardegna ricordò solo le genti ostili degne di una terra arida e priva di felicità.

C’era stato chi quest’isola l’aveva solo guardata da lontano, chi invece l’aveva respirata e vissuta, anche se per poco. E poi ci fu lui, Gabriele D’Annunzio, appena diciannovenne ma già noto al pubblico per la raccolta Primo Vere e per la falsa notizia della sua precoce morte, che, nel Maggio 1882, intraprese “il viaggio” – come lui stesso lo definì – verso l’ “Isola della magia”.

Il giovane D’Annunzio guardò alla Sardegna come ad una terra misteriosa e antica. E ne rimase folgorato.

Le tappe principali del viaggio

In compagnia di Edoardo Scarfoglio e Cesare Pascarella, affermati scrittori e giornalisti della rivista “Capitan Fracassa”, il giovane Gabriele visitò l’isola per alcuni mesi. Si annunciava la pubblicazione imminente di un libro con illustrazioni, racconti e impressioni di una terra che – come avrebbe detto Lawrence trentanove anni dopo – non assomigliava a nessun altro luogo.

Il libro non fu mai pubblicato, ma rimangono numerosi scritti, tra cui piccoli reportages, articoli e lettere che ci permettono di immaginare come dovette essere questo viaggio. Sbarcati a Terranova, l’attuale Olbia, i tre visitarono in pochi giorni Alghero, Nuoro e Oliena. Fu poi la volta di Cagliari e Villacidro.

Il breve soggiorno a Villacidro

La Sardegna, terra ruvida e ventosa, a tratti aspra ed ostile, popolata da creature leggendarie e architetture megalitiche, ispirò a D’Annunzio alcune poesie. La più celebre, dedicata a “Sa Spendula”, la cascata villacidrese, è stata spesso oggetto di dubbi circa la paternità parziale o totale di Ugo Ranieri, anch’egli scrittore e giornalista, di origine nuorese. I tre godettero spesso della compagnia di quest’ultimo durante la loro permanenza in Sardegna. Del resto, Ugo Ranieri era un personaggio conosciuto negli ambienti letterari e di lui si apprezzavano la genialtà, l’estro ed il carattere eccentrico. Amico di Ottone Bacaredda, che fu per diversi mandati sindaco di Cagliari,  egli era un profondo conoscitore della storia e della cultura sarda, stimato da molti politici e intellettuali del tempo. Insieme ad Ugo Ranieri, i tre furono accolti con i dovuti onori nella villa del professor Todde a Villacidro, e qui ebbero modo di visitare la cascata di Sa Spendula sotto la sua guida.

La cittadina del Medio Campidano, meta di villeggiatura estiva per i cagliaritani, era anche meta di soggiorno per alcuni esponenti dell’alta borghesia britannica, francese, ligure e piemontese, molti dei quali nutrivano interessi di tipo economico legati allo sfruttamento dei giacimenti minerari. Sul finire dell’Ottocento, dunque, Villacidro appariva ricca di stimoli ed animata da un grande fervore intellettuale. Non fu solo D’Annunzio a subirne il fascino. Più tardi, Edoardo Scarfoglio, da Roma scriverà queste parole:

“Villacidro, un pezzo di Svizzera sarda, un piccolo paradiso pieno di berrettoni neri e di saioni di pelle d’agnello e di caprari, accovacciato tra il Montiomo e il Cuccureddu”

La Sardegna: una terra antica dal fascino esotico

D’Annunzio fu senz’altro un ottimo osservatore. Colse dettagli e suggestioni che ancora oggi si scorgono anche distanza di tanto tempo. Una tra le immagini che lo colpirono maggiormente fu la somiglianza tra la Sardegna Meridionale e il Nord Africa, i cui riferimenti esotici ben si colgono nella poesia “Sale”, ispirata dallo spettacolo delle “bianche piramidi” che il poeta ebbe modo di osservare nelle Saline di Molentargius.

Saline di Cagliari in una foto d’epoca

I continui riferimenti all’Egitto, e più in generale ad un Oriente lontano e favoloso, sono comuni non solo a D’Annunzio, ma anche a molti intellettuali dell’Ottocento. E del resto, osservando Cagliari e la parte meridionale della Sardegna, le suggestioni date dalla somiglianza con un qualsiasi paese nord-africano dovevano essere notevoli. I ciuffi di palme che spuntavano dai cortili interni delle case, il mare, la sabbia bianca, il vento, le cupole e i profili delle chiese, persino i volti stessi degli abitanti creavano spesso nei viaggiatori l’illusione di trovarsi in una terra diversa, lontana dall’Italia.

Anche in “Sotto la lolla” il poeta rimanda ad un mondo esotico con i vari riferimenti al Sahara, agli occhi neri e profondi e allo sguardo magnetico delle donne. Queste stesse suggestioni, del resto, poco più tardi avrebbero ispirato l’opera di Giuseppe Biasi, sedotto da una Sardegna primitiva e magnetica.

Donne sarde in un’opera del pittore Giuseppe Biasi, coll. De Montis.

L’elogio al Nepente di Oliena

D’Annunzio promise varie volte di tornare in Sardegna. Nel 1893 comunicava a Stanis Manca la sua “nostalgia della Sardegna da dodici anni, come d’una patria già amata in una vita anteriore”. E nello stesso anno scriveva ad Ugo Ranieri la sua intenzione di ritornare per scrivere un libro. Quel famoso libro mai venuto alla luce.
Ancora nel 1909, da Marina di Pisa, D’Annunzio scriveva la sua prefazione al libro dell’amico tedesco Hans Barth, anch’egli scrittore e profondo conoscitore dei vini italiani, impegnato nella redazione di Osteria. Guida spirituale delle osterie italiane da Verona a Capri”.

Il Nepente di Oliena rappresentò per D’Annunzio “la più vasta sbornia” di cui si dichiarò “testimone e complice”.

“Non conoscete il nepente d’Oliena neppure per fama? Ahi lasso! Io son certo che, se ne beveste un sorso, non vorreste mai più partirvi dall’ombra delle candide rupi e scegliereste per vostro eremo una di quelle cellette scarpellate nel macigno che i Sardi chiamano Domus de Janas, per quivi spugnosamente vivere in estasi fra caratello e quarteruolo”.

Con queste parole D’Annunzio elogiava le virtù del Nepente, promettendo all’amico di conservare per il loro futuro incontro un bicchiere di quel vino che, prima del suo arrivo in Sardegna, non aveva nemmeno un nome ed era chiamato semplicemente “binu de Uliana”, cioè vino di Oliena.

Circa un anno dopo, nel 1910, questo scritto ispirò la redazione di “Un itinerario bacchico”, un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 15 Febbraio nel quale ricompare lo stesso elogio al Nepente e alla Sardegna, la cui nostalgia si coglie appieno nelle numerose suggestioni dei paesaggi e dell’ospitalità ricevuta.

“A te consacro, vino insulare, il mio corpo e il mio spirito ultimamente. Il sire Iddio ti dona a me, perché i pieceri del mio spirito e del mio corpo sieno inimitabili….[…] possa io fino all’ultimo respiro rallegrarmi dell’odor tuo e del tuo colore, ed avere il mio naso per sempre vermiglio. E, come il mio spirito abbandona il mio corpo, in copia di te sia lavata la mia spoglia, e di pampani avvolta, e colcata in terra a pie’ d’una vite grave di grappoli; che miglior sede non v’ha per attendere il Giorno del Giudizio”.

Ma nonostante le promesse e le intenzioni, il Vate non fece mai più ritorno in Sardegna da quel lontano 1882. Eppure la Sardegna ritorna frequentemente nei suoi scritti, riportando alla mente il ricordo di quei versi il cui suono sembra riecheggiare tra i mirteti e le acque della cascata villacidrese:

Dense di celidonie e di spineti
le rocce mi si drizzano davanti
come uno strano popolo d’atleti
pietrificato per virtù d’incanti.

Sotto fremono al vento ampi mirteti
selvaggi e gli oleandri fluttuanti,
verde plebe di nani; giù pei greti
van l’acque della Spendula croscianti.

Sopra, il ciel grigio, eguale. A l’umidore
della pioggia un acredine di effluvi
aspra esalano i timi e le mortelle.

Ne la conca verdissima il pastore
come fauno di bronzo, su ‘l calcare,
guarda immobile, avvolto in una pelle.

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Riferimenti bibliografici

“Gabriele D’Annunzio turista in Sardegna”, articolo di Giovanni Mameli pubblicato su “Il Messaggero Sardo” nel Luglio 2005;

“Storia del Paese d’Ombre”, Efisio Cadoni, GIA Editrice

“Cagliari Esoterica”, Pierluigi Serra, La Zattera

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